Giuseppe Sammartini | Le cantate profane
Giuseppe SAMMARTINI (1695-1750)
Nove cantate profane
Edizione critica a cura di Maria Teresa Dellaborra
LIM Editore, Lucca
Collana Musiche italiane del Settecento, in collaborazione con Società Italiana di Musicologia
Comitato Scientifico:
Alberto Basso, Mariateresa Dellaborra, Teresa Gialdroni, Friedrich Lippmann, Guido Salvetti, Agostino Ziino
Presentazione
Giuseppe Sammartini (1695-1750) figlio d’arte e fratello maggiore di Giovanni Battista, inizia la sua attività in ambito milanese come oboista nell’orchestra del Teatro Ducale. Dal 1729 è chiamato a Londra da Händel per far parte dell’orchestra del King’s Theatre e da allora si stabilisce sul suolo inglese mietendo incontrastati successi sia in campo esecutivo (viene definito «il migliore che il mondo abbia mai conosciuto») che compositivo. Famosi sono i suoi concerti per clavicembalo o organo op. 9, i concerti grossi op. 2 e op. 5, ma anche le sonate op. 1.
Nell’ambito vocale Sammartini lascia un corpus piuttosto nutrito di cantate profane alcune delle quali con evidente destinazione celebrativa. Esse destano particolare interesse almeno per due motivi: in ambito milanese la cantata non aveva all’epoca cultori di particolare rilievo e dunque l’opera del Sammartini rappresenta un’eccezione; rispetto ai coevi modelli inglesi, le pagine del Sammartini introducono elementi di novità sia relativamente alla forma che allo stile. Oltre a tali peculiarità esse arricchiscono la conoscenza di un genere molto diffuso che ancora nel primo quarto del XVIII secolo era considerato aristocratico ed esclusivo.
Tutte manoscritte, le cantate non riportano la datazione, ma probabilmente si collocano in un ampio raggio cronologico: dal soggiorno italiano 1717-1727 (verosimilmente Solitudine campestre e Tu piangi Eurilla mia) a quello londinese 1729-1750 (In lode della principessa di Galles). La struttura è tripartita o quadripartita con la seguente successione: Recitativo – Aria – Recitativo – Aria; Aria – Recitativo – Aria.
Le nove cantate (Ahi qual cruccio – Da procella tempestosa – L’olmo – Oh vita, vita no – Solitudine campestre – Tu piangi, Eurilla mia – In lode della principessa del Gales – Più non sento – Naufragio vicino) rappresentano un corpus omogeneo non soltanto per uniformità di forma, ma anche per qualità di contenuti.
Non si conosce l’autore dei testi letterari.